È una tradizione antica come il mondo quella di ascoltare il racconto di anziani che parlano della loro vita o di tempi lontani, ormai andati. È grazie a queste storie che oggi conosciamo pezzi introvabili della nostra storia e comprendiamo meccanismi sociali ai quali, altrimenti, non daremmo senso.
Se pensiamo ai racconti biblici tramandati di padre in figlio, alle tradizioni popolari giunte fino a noi, comprendiamo il valore grande dell’evocazione e cioè il racconto di episodi di vita vissuta dove la storia si intreccia con il sociale e chi racconta, diventa un meraviglioso autobiografista.
Nulla di più utile e prezioso, soprattutto in una generazione come questa, che conosce solo un modo frettoloso e superficiale di comunicare. Parlare della propria vita, partendo da questo punto, realizza quella che filosofi e sociologhi chiamano memoria autobiografica. Una metodologia in cui il protagonista, anche in modo frammentario, recupera parti di un puzzle di cui egli stesso è parte. Un vero e proprio viaggio che parte da un tempo indefinito e presenta punti riferimento come storie d’amore, guerra, matrimonio e esperienze vissute sulla propria pelle. Una visuale introspettiva che dona la speranza di rendere eterna un’esistenza, attraverso la forza del racconto.
La forza degli anziani
La grande forza degli anziani risiede nel bagaglio di esperienze vissute, dai problemi affrontati alle via di uscita che ogni volta sono riusciti a trovare, anche sbagliando. Ascoltando il loro racconto, ci si accorge che talvolta è frammentario e poco lineare, un insieme di eventi non collegati tra loro ma che possono essere lentamente riannodati. Molte volte un episodio è raccontato più volte ma con particolari diversi e questo perché più lo si racconta e più vengono alla memoria episodi specifici; ma anche perché il ricordo che viene a galla è influenzato dalle esperienze successive, dall’interlocutore e da quel preciso stato d’animo.
Quando si parla di racconto, allora, si fa riferimento ad una terapia in senso stretto, un modo per mettere al centro l’anziano, attivando la sua parte razionale che gli fa recuperare elementi storici, ma anche la sfera emozionale con tutto ciò che comporta. Un aiuto per chi ha bisogno di ricordare e di parlare di se per stimolare il proprio mondo interiore fatto di esperienze, sentimenti, delusioni e momenti di felicità. Questo succede soprattutto quando tra l’interlocutore e colui che si pone come ascoltatore, si crea un clima di fiducia e affidamento, un feeling fatto di comprensione, accettazione, serenità e calma. Solo quando ciò avviene, i ricordi sono meglio sollecitati e chi racconta trova lo spazio necessario e adeguato per aprirsi e raccontarsi, lasciando fluire liberamente le emozioni. La memoria riesce a riportare più facilmente a galla volti, parole, eventi e sentimenti che sembravano sopiti.
Se non vi fossero tali racconti, non si potrebbe avere conoscenza del passato e di abitudini di vita di cui i libri non parlano o di modi di pensare che andrebbero dimenticati.
Gli anziani che vivono presso la R.S.S.A. Santa Chiara (Residenza Socio Sanitaria Assistenziale per anziani non auto sufficienti) non sono soli e non possono vivere momenti di chiusura interiore, perché vi è possibilità di condividere i loro racconti, le storie vissute sulla propria pelle con altre persone sempre pronti ad ascoltarli. Questo perché l’anziano è avvertito come una ricchezza sociale, uno scrigno di segreti tutti da svelare, mettendosi in comunicazione con lui.
Non un seguire sterile, ma un ascolto attento, per dare un nuovo senso alle loro parole fatte di valori e insegnamenti che diventano una vera e propria risorsa.
Non si dimentichi che la terza età è l’inizio di una nuova fase della vita dove è possibile trovare ancore spunti di crescita. Ne è un esempio Donatello, che all’età di ottant’anni e affetto dal morbo di Parkinson, riuscì a realizzare il Pulpito della Chiesa di S. Lorenzo a Firenze, che noi tutti oggi ammiriamo con tanta meraviglia.